Lectio Divina di lunedì 1 aprile 2019

Dal vangelo secondo Giovanni (8, 1-11)

1 Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Questo brano che abbiamo ascoltato, è stato accolto nel quarto vangelo (Giovanni) solo dopo aver peregrinato da un vangelo all’altro, perché il suo contenuto era ritenuto “scandaloso” dagli stessi cristiani. È stato inserito al cap. 8 di Giovanni dove Gesù dice: “Voi giudicate secondo la carne, io non giudico nessuno”.

I Padri d’Oriente non conoscevano questo brano, era presente solo in alcuni manoscritti, i latini lo conoscevano già dal 4° secolo. Anche lo stile letterario e il tema non sembrano di Giovanni, pare piuttosto di Luca. È un brano comunque che imbarazza anche noi, ora.

Si ha così il caso in cui l’origine del brano è avvolta storicamente nel mistero, (potrebbe provenire da uno scritto non canonico, tipo vangeli apocrifi), mentre la sua autorità divina per il credente è fuori dubbio. Il Concilio di Trento riconosce l’ispirazione divina dei Libri della Bibbia, così come sono presenti, e li riconosce come Parola di Dio.

Vediamo la struttura:

Gesù sta insegnando nel tempio, è il Maestro.

Gli scribi e i farisei fanno irruzione davanti a Gesù e gli portano una donna sorpresa in adulterio, e la posero in mezzo. “Mosè ci ha ordinato di lapidare donne come questa…” Fanno riferimento all’antica Legge.

Gesù non parla, scrive per terra, non vuole mettere in difficoltà la donna. Alle insistenze dei farisei e degli scribi, Gesù si alzò, li affronta: “chi di voi, è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Gesù non condanna neppure gli scribi e i farisei, dice semplicemente, se vi sentite innocenti, date pure inizio alla lapidazione. Questa prima parte ci presenta dunque Gesù e gli scribi e i farisei, è uno dei tanti conflitti che troviamo nel vangelo tra Gesù e i suoi avversari, la donna è solo un pretesto.

Nella seconda parte, invece, abbiamo Gesù e la donna.

Inizia un dialogo tra Gesù e la donna, è un dialogo pieno di attenzione e di misericordia.

Allora, Gesù si alzò…” si mette alla pari con la donna. “Donna, domanda Gesù, dove sono?” “Nessuno ti ha condannata?” “Nessuno, Signore” “e Gesù le disse: Neanch’io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”. Chiamato a scegliere tra la Legge e la misericordia, Gesù sceglie la misericordia, senza mettersi contro la Legge, perché sa distinguere il peccato dal peccatore.

È bello ripensare la scena quando tutti se ne vanno e restano solo Gesù e la donna, questa lo guarda in modo interrogativo.

Sant’Agostino a questo proposito dice: “Relicti sunt duo, miseria et misericordia” restano solo due: il peccato (della donna) e la misericordia (di Gesù).

C’è un particolare: dal testo non si comprende se la donna è pentita, ma la misericordia di Gesù la precede.

Nessuno ti ha condannata?” È una domanda che fa da ponte tra Gesù e la donna.

Vi è l’incontro che riconsegna la donna a sé stessa, rimettendola in cammino, nella sua dignità.

Una sola parola: le dice di cercare ancora, ma oltre ciò che aveva cercato fino a quel momento. Un invito a non continuare a sbagliare il bersaglio nella sua ricerca di vita e di amore.

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Lectio Divina di lunedì 25 marzo 2019

Dal vangelo secondo Luca (15, 1-3. 11-32)

1 Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. 2I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». 3Ed egli disse loro questa parabola:

11Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: «Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta». Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla.17Allora ritornò in sé e disse: «Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati». 20Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: «Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio». 22Ma il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, 24perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato». E cominciarono a far festa.

25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: «Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo». 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: «Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso». 31Gli rispose il padre: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»».

Charles Peguy scrittore francese del secolo scorso aveva colto questa pagina come il centro, il fuoco di tutto il Vangelo. Si potrebbe dire che questo brano è un vangelo nel vangelo.

Se perdessimo il Vangelo, ma restasse questa pagina capiremmo comunque chi è Dio e chi siamo noi.

Chi si è perduto, certo il figlio minore, ma anche il maggiore, chi emerge in grandezza e misericordia è certamente il Padre che abbraccia il minore, ma anche il maggiore, chi emerge in grandezza e misericordia è certamente il Padre che abbraccia il minore e va incontro al maggiore.

Questa parabola ribalta la nostra idea su Dio e ci presenta l’uscita sia dall’ateismo di chi si ribella e poi si vende agli idoli, sia la falsa religione che rifiuta il vero volto di Dio.

Ripercorriamo il testo attraverso tre brevi momenti.

  1. Tutti e due i figli si sono allontanati dal Padre.

Il più giovane, sbattendo la porta, il più grande, restando a casa, anche se con il cuore è altrove. Entrambi lasciano la casa e con essa il Padre, che perdono perché in fondo non l’hanno mai conosciuto sul serio. “Si allontanarono”; ecco descritto in modo convincente il peccato; è un allontanarsi da Dio, pensando di essere più liberi ed invece…

2. Ma perché ci si allontana da Dio?

Ci si allontana in diversi modi: fisicamente come il figlio minore e affettivamente come il maggiore. L’atteggiamento dei due fratelli lasciano intravedere due situazioni diverse.

Il più giovane lascia il padre perché si sente oppresso, condizionato dalla figura del Padre.

Ed allora si progetta una vita come se Dio non ci fosse, non se ne sente il bisogno, tantomeno il desiderio, Dio è una pura ipotesi: posso credere oppure non credere, ma arriva il momento in cui ci si sente tremendamente soli, possiamo avere tutto, ma il tutto non mi basta a saziare la mia sete di infinito, e resto solo con me stesso.

È in questa solitudine che si rientra in sé stessi, si fa un cammino di ritorno, ritorno ma non sono più lo stesso di quando sono partito, allontanandomi da casa.

Il figlio maggiore resta… ma non si sente amato, si sente piuttosto un salariato, non un figlio, si lamenta: “neanche un capretto” ed invece ha tutto… il suo problema è un problema di relazione: non ha un vero rapporto con il Padre, per lui è un ingiusto che fa solo preferenze per il figlio minore che per di più ha sbagliato.

  1. E il padre? Chi è veramente?

Ecco alcuni aspetti.

La sua accondiscendenza di fronte alla decisione risoluta del figlio più giovane di andar via dimostra la sua straordinaria liberalità: acconsente di dare al più giovane la parte di eredità; notiamo: lo lascia libero, anche di sbagliare perché lo ama sul serio, acconsente, certo con sofferenza, e per questo attende il suo ritorno. Ogni giorno “guarda” la strada per un eventuale ritorno del figlio. Quando ritorna… grande festa in casa: notiamo i particolari, vestito, calzari, anello…

Riferimenti battesimali, membro riconosciuto della famiglia…

Però… è una festa a metà, perché c’è il figlio maggiore che fa il guastafeste. Lui si sente diverso, lui è giusto, a posto, laborioso ed osservante: invece è un giovane senza cuore, che non sa perdonare il fratello, è un giovane che non sa gioire.

Se leggiamo bene la parabola notiamo che manca il finale: ognuno deve metterci la sua esperienza.

E poi, il figlio maggiore è entrato alla festa o no? Non si sa.

Capiamo ora meglio il senso delle tre parabole: la pecora perduta, la moneta perduta, il figlio perduto. Lc. 15, 1-3. Si avvicinavano a Lui, tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo, i farisei e gli scribi mormoravano, dicendo: costui accoglie i peccatori e mangia con loro. Allora Egli disse loro questa parabola.

Lectio Divina di lunedì 18 marzo 2019

Dal vangelo secondo Luca (13, 1-9)

1 In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.7Allora disse al vignaiolo: «Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?». 8Ma quello gli rispose: «Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai»».

Il vangelo che meditiamo stasera e risentiremo domenica prossima, è l’inizio del cap. 13 in cui Luca ci parla della predicazione di Gesù alla folla mentre è in viaggio verso Gerusalemme.

La struttura del brano è molto semplice: c’è un riferimento a due fatti di cronaca, che non conosciamo da altre fonti antiche, e poi una breve parabola, chiamata parabola del fico. I due brani e la parabola convergono sullo stesso argomento: la conversione.

Nella prima parte, Gesù commenta un fatto di cronaca da poco avvenuto, dopo come si è detto sopra, segue una parabola.

Gesù stava parlando alla folla sulla necessità di valutare le cose e giudicare ciò che è più giusto fare. Questo, Gesù lo diceva per esortare la folla a riconoscere che il tempo in greco (Kairos) è ormai giunto; è il tempo della salvezza, il tempo della grazia.

In quello stesso tempo (Kronos) tempo quotidiano, ripetitivo, si presentano alcuni a portargli la notizia di un fatto molto grave, Pilato aveva fatto uccidere dei pellegrini provenienti dalla Galilea, i quali vengono uccisi durante il sacrificio nel tempio, questo è più che verosimile conoscendo la crudeltà con cui agivano i romani nelle terre da loro conquistate.

Perché questi “alcuni” hanno riferito la cosa a Gesù?

Poteva essere una informazione interessata per suscitare in Gesù, anch’egli proveniente dalla Galilea, una reazione ostile a Pilato, in modo da denunciarlo alle autorità, oppure poteva essere una domanda “teologica” sulla giustizia divina.

Gesù esclude che la morte di quei Galilei sia una punizione divina, però deve servire da “segno”, da avvertimento per i presenti, perché comprendano l’importanza del tempo (Kairos) di grazia che stanno vivendo. Essi devono cogliere l’occasione che viene data loro dalla predicazione di Gesù e devono prendere posizione, ossia devono convertirsi.

Il secondo fatto di cronaca che viene riferito, “quello delle diciotto persone sulle quali crollò la torre di Siloe”, di cui non si ha riscontro dalle cronache contemporanee, ha la risposta di Gesù identica alla precedente. Tutti sono peccatori e hanno bisogno di conversione, nel senso radicale: il Regno è vicino, che posizione assumi? Non puoi restare neutrale o indifferente.

Il testo si conclude con una breve parabola: quella del fico.

L’immagine del fico e più in genere, dell’albero, è usuale nella Bibbia e spesso indica il popolo di Israele.

All’albero viene concessa una tregua di un anno e una cura specifica. Se porterà frutto, bene, altrimenti sarà tagliato.

La parabola riflette la visione di Gesù: Israele, nel suo complesso è lontano da Dio. Dio gli offre attraverso Gesù una possibilità di ravvedersi, questo è il tempo decisivo, prima della venuta finale del Regno, l’anno di grazia di cui Luca parlava già nel capitolo 4. Anche per noi è tempo di portare frutti convertendoci alla misericordia, e rivolgendo il cuore verso i poveri, verso tutti coloro che attendono una parola di salvezza.

Per la riflessione:

Capita anche a me di pensare che se qualcuno è colpito da disgrazie o da malattie, queste siano un castigo di Dio?

In che cosa dovrei convertirmi?

Ma che cosa dovrei fare per dare davvero frutto?

Lectio Divina di lunedì 11 marzo 2019

Dal vangelo secondo Luca (9, 28-36)

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Eccoci davanti a questo racconto testimoniato dai tre vangeli sinottici, Mc, 9, 2-10, Mt, 19, 2-9, ciascuno con dei particolari diversi e significativi. Luca scrive che “otto giorni dopo” quello della confessione di Pietro che ha riconosciuto e confessato Gesù come il “Cristo di Dio” 9, 20, quello in cui lo stesso Gesù ha annunciato per la prima volta la “necessità” della sua passione, morte e risurrezione 9,22, Gesù decide di salire sul monte santo per dedicarsi alla preghiera.

Porta con sé i discepoli a lui più vicini, Pietro, Giovanni e Giacomo, ai quali aveva promesso la visione del regno di Dio prima della loro morte 9,27. Gesù entra in quell’incontro con Dio esercitandosi all’ascolto della sua voce, della sua Parola, per poter dire in piena consapevolezza il suo “amen” alla volontà del Padre.

La preghiera di Gesù sta tutta qui e così è anche la preghiera del cristiano. Luca ci ricorda spesso che Gesù ha cercato la solitudine, la notte, la montagna, per vivere questa preghiera assidua al Padre; anche ora, dopo la confessione di Pietro, Gesù entra nella preghiera.

Sappiamo che la preghiera non cambia il progetto di Dio, ma trasforma noi. La preghiera dei pagani vuole parlare a Dio, vuole che lui si pieghi ai nostri desideri, si vuole insomma fare di Dio colui che può dirci sempre un “sì”, Gesù, invece non prega così, perché sa che è lui a dovere dire “si” a Dio, non viceversa.

Di fronte a questo evento non riusciamo a dire molto, balbettiamo, ci sentiamo di fronte ad un evento che è solo da adorare, noi accogliamo il mistero di questo evento come rivelazione.

Gesù, quell’uomo di Galilea, quell’uomo fragile e incamminato verso la morte, in verità è il Figlio di Dio, e le sue prerogative divine non appaiono perché Egli è veramente uomo: il centurione sotto la croce dice di Lui: “Sì, quell’uomo era Figlio di Dio!”

Inadeguati a tale mistero, Pietro, Giovanni e Giacomo sono oppressi dal sonno, ma riescono a vederlo e a contemplare la “gloria” di Gesù.

Pietro, allora in una sorte di estasi chiede a Gesù di prolungare questo momento di contemplazione e di beatitudine. E mentre Pietro sta ancora parlando, ecco venire la nube della Presenza di Dio che li avvolge, destando in essi timore e tremore.

Sono davanti a Dio non nella luce ma nella nube che non permette di vedere, percepiscono la Presenza di Dio ma non la vedono, però sentono, ascoltano, perché Dio non lo si può vedere senza morire es. 33,10 ma Lui lo si può sempre ascoltare. Così nel silenzio si conclude questo evento narrato con difficoltà: Gesù è di nuovo solo con i tre discepoli ammutoliti dallo stupore e dall’adorazione del mistero, non parlano fino a che Gesù sia risuscitato dai morti.

L’uomo finché vive sulla terra non potrà mai vedere Dio, lo potrà invece sentire, anzi dovrà sentirlo. Noi, siamo fatti per l’ascolto della sua Parola, e questa è una esigenza vitale per il credente, è la Parola che è luce ai nostri passi, ci dà coraggio nel momento della prova.

Un’altra osservazione: il Padre nei Vangeli parla solo due volte dicendo le stesse cose. Nel Battesimo di Gesù, dice: “Tu sei mio Figlio, l’eletto, in te mi sono compiaciuto”. Nella trasfigurazione dice a noi: “Questo Gesù è il mio Figlio, l’Eletto. Se volete diventare miei figli nei quali mi compiaccio, ascoltare Lui”.

Quindi il centro della trasfigurazione è l’ascolto, non la visione.

La trasfigurazione è l’azione dello Spirito in noi che ci fa ad immagine del Figlio di Dio. Però la sostanza della trasfigurazione è: “ascoltate Lui”. Se ascolto la sua Parola divento come Lui, se ascolti le altre parole diventi come le altre parole che ascolti.

Se vuoi vedere il volto di Dio, ascolta Gesù, ascolta la sua Parola, diventerai come Lui, e il volto di Dio sarai tu.

Ripresa lectio divina per tutto il tempo quaresimale a partire dal 4 marzo 2019.

Come ad ogni avvento e quaresima, anche quest’anno riprende la Lectio Divina, con breve Adorazione Eucaristica, ogni lunedì sera alle ore 21 nella cappellina feriale.

Di seguito la lettura ed il commento del primo incontro:

Lectio Divina di lunedì 4 marzo 2019

Dal vangelo secondo Luca (4, 1-13)

1 Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, 2per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. 3Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane».

 4Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l’uomo».

5Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra 6e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. 7Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo».

 8Gesù gli rispose: «Sta scritto: Il Signore, Dio tuo, adoreraia lui solo renderai culto».

9Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; 10sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano; 11e anche: Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

12Gesù gli rispose: «È stato detto: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo». 13Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

A differenza di Matteo e Marco che mettono le tentazioni di Gesù dopo il battesimo sul fiume Giordano, Luca le inserisce dopo la genealogia ascendente di Gesù cioè da Giuseppe ad Adamo, come dire che ogni uomo, come Gesù sarà tentato lungo tutta la vita.

Inoltre, estende le tentazioni a tutti i 40 giorni del deserto, questo è visto come l’anticipo, lo scontro finale avverrà a Gerusalemme durante la passione: “il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato” cioè al momento della passione.

Teniamo presente che leggiamo questo brano in tempo di Quaresima, tempo severo ma “favorevole” (2Cor 6,2); per il cristiano la Quaresima è soprattutto tempo di lotta contro le tentazioni. Per questo ogni anno la Chiesa ci offre il racconto delle tentazioni di Gesù che in realtà devono essere state molte. Luca le riassume come si è visto in tre: tentazione del mangiare, del possedere, del dominare.

Prima tentazione espone l’uomo del nostro tempo ad assolutizzare talmente il “pane” materiale, da trascurare e persino dimenticare i valori spirituali fondamentali che gli donano la vera vita al di là della morte. È ciò che Gesù risponde al tentatore: “non di solo pane vivrà l’uomo”. Insomma, si tratta di accettare la precarietà della nostra esistenza come condizione umana di base per accogliere l’“Altro”, di cui impariamo sempre di più ad avere fame.

La seconda tentazione è quella di prostrarsi agli idoli, ai surrogati di Dio: potere, successo, dominio, “volontà di potenza”. L’indicazione di Gesù a chi lo vuole seguire, è l’abbandono totale e filiale a Dio per fare la sua volontà.

La terza tentazione è poi quella più profonda, e che a pensarci bene, sembra che non ci riguardi. Gesù vede sotto di sé l’abisso, che poi è anche il nulla, il vuoto. Questa è veramente la tentazione delle tentazioni, già esperimentata da Israele nel deserto, di fronte alle difficoltà, e alle contraddizioni e all’apparente smentita delle promesse di Dio, Israele si domandava: “Il Signore è in mezzo a noi si, o no?” (Es. 17,7). Ciò avviene anche per noi quando il senso del fallimento dell’intera nostra vita ci coglie, ci sorprende e ci confonde, fino a farci dire: “ma c’è Dio?” Oppure: “ci ha abbandonato!”

Questa è la tentazione che vuole contraddire la fede, la fiducia posta in Dio. È la tentazione dove non si bestemmia Dio ma semplicemente lo si nega, si nega la sua esistenza, e lo si estromette dalla nostra vita.

Gesù ha subito queste tentazioni in quanto uomo, come ognuno di noi, ma da queste situazioni ha imparato ad aderire alla realtà: “Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì” (Eb.5,8)

Questo superamento della tentazione non sarà l’ultima per Gesù, il diavolo tornerà a tentarlo alla fine della sua vita, sulla croce, ma Lui sarà sempre vincitore, “uguale a noi in tutto fuorché nel peccato” (Eb 2,17) per questo trionferà sulla morte e, quale risorto, vivrà per sempre.