Papa Francesco a Genova

Sabato 27 maggio 2017 – Papa Francesco a Genova
 PAPAGE
PROGRAMMA
  • ore 8.15 Il Papa arriva a Genova ed è accolto all’aeroporto dal Cardinale Arcivescovo e dalle autorità civili
  • ore 8.30 Allo stabilimento ILVA Incontro con il mondo del lavoro
  • ore 10 In Cattedrale Incontro con i vescovi, il clero, i consacrati, le consacrate e i seminaristi della Regione Ecclesiastica Ligure
  • ore 12.15 Al Santuario N. S. della Guardia Incontro con i giovani
  • ore 13.15 Al Santuario N. S. della Guardia Pranzo con poveri, rifugiati, senza fissa dimora e detenuti
  • ore 15.45 All’ospedale pediatrico “Giannina Gaslini” Incontro con i bambini ricoverati
  • ore 17.30 Nell’area della Fiera del Mare S. Messa per tutti i fedeli
  • ore 19.30 All’aeroporto Il Papa si congeda dal Cardinale Arcivescovo e dalle autorità civili

Scarica programma dettagliato o visualizza come richiedere il pass per la Santa Messa delle 17:30 (link diretti dal sito dell’arcidiocesi).

Programma(PDF)

Come chiedere il pass

Pubblicità

CELEBRAZIONE DELLA SETTIMANA SANTA

giovedì 13 aprile
CENA DEL SIGNORE
“Li amò sino alla fine”
ore 18 – S.Messa nel ricordo dell’ultima cena
segue l’adorazione all’eucaristia fino alle 23
venerdì 14 aprile
PASSIONE DEL SIGNORE
“È compiuto”
ore 8.30 – liturgia delle letture e lodi
ore 18 – Celebrazione della passione del Signore
Adorazione della croce, Comunione
sabato 15 aprile
VEGLIA PASQUALE
“Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”
ore 21,30 – Veglia di Pasqua
Liturgia della luce, del cero, dell’acqua battesimale
domenica 16 aprile
PASQUA DI RESURREZIONE
“Egli doveva risuscitare dai morti”
orario festivo: S.Messe alle ore 9 – 10,30 – 19
lunedì 17 aprile
LUNEDÌ DELL’ANGELO
S.Messe alle ore 9 – 10,30 – 17,30

Lectio divina di lunedì 3 aprile

Dal vangelo secondo Matteo (21, 1-11)

1 Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, 2dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: «Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito»». 4Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta:
5Dite alla figlia di Sion:
Ecco, a te viene il tuo re,
mite, seduto su un’asina
e su un puledro,
figlio di una bestia da soma.
6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù:7condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 9La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava:
«Osanna al figlio di Davide!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore!
Osanna nel più alto dei cieli!».
10Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». 11E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea».

C’è un personaggio nel nostro brano che domina tutta la scena: è l’asina, in contrapposizione netta con il cavallo, viene citata per ben tre volte.
Gesù è vicino a Gerusalemme, meta di tutto il vangelo. Il Maestro manda due discepoli, Gesù li manda sempre a due a due, ora che cosa deve fare il discepolo e la chiesa? Trovare una cosa che già c’è e che però è legata e va dunque liberata e condotta al Signore. Che cos’è? È nientemeno che l’asino, sì perché questo è un animale da servizio, deve fare il somaro cioè portare il peso dell’altro, la soma.
Il nostro Dio è un Dio in croce che ci offre il servizio. Chi ha potere va a cavallo, pensiamo a grandi conquistatori di popoli un Alessandro Magno, ai re più recenti Vittorio Emanuele II in Piazza Corvetto, Gesù invece non viene a cavallo, non domina. Il cavallo lo istruisci, gli fai fare quello che vuoi, lo ammaestri insomma, l’asino, no: fa quello che la natura gli ha insegnato, è l’animale che fatica, che serve. Gesù è venuto per servire non per dominare, è il Signore sommamente umile il cui potere è liberare tutti.
Il suo modo di fare è servire, un servizio umile che si dona e vive la solidarietà.
Portare il peso gli uni degli altri; questo è servizio. Gesù regna sull’asino: questo è il Regno, questo è il simbolo di Cristo. L’asino è legato con il figlio (puledra), la nostra vocazione è liberarlo, scioglierlo e portarlo da Cristo.
3 “Se qualcuno vi dirà qualcosa …” Chi è questo qualcuno? Siamo noi stessi che obiettiamo: cosa serve servire? Non sarebbe più utile avere un po’ di potere?
3 “il Signore ne ha bisogno” Cosa? L’amore, l’unico bisogno di Dio.

Dobbiamo essere come Davide che va verso Golia senza armatura, noi invece abbiamo troppe cose che ci ostacolano e ci impediscono di vivere come Cristo.
Invece grande è il potere dell’asino: è capace di servire.
E noi capiamo chi è Dio solo servendolo e amandolo, slegando l’asino per condurlo al Signore.
5 La vera storia del mondo è la storia dell’asino, slegato o legato, il compito del cristiano è slegare l’asino cioè servire ed amare.
Qui dobbiamo fare un riferimento al profeta Zaccaria 9,9: “Esulta grandemente, figlia di Sion,
giubila figlia di Gerusalemme!
Ecco, a te viene il tuo re.
Egli è giusto e vittorioso,
umile, cavalca un asino,
un puledro figlio d’asina.
Farà sparire il carro da guerra da Efraim
e il cavallo da Gerusalemme…
l’arco di guerra sarà spezzato,
annuncerà la pace alle nazioni,
il suo dominio sarà da mare a mare.”
Il cavallo è inteso come forza di potere. Non aspettare mai il cavallo, come forza e dominio, ma l’asino.
Gesù entra a Gerusalemme, nella nostra città, nel nostro quotidiano, cavalcando l’asino, cioè il potere del servizio, umile e gratuito. –
6 “quello che aveva ordinato loro” perché i discepoli non intendono il modo di ragionare di Gesù.
“misero su di essi i mantelli” il mantello è tutto: è vestito, è stuoia per dormire.
“folla numerosissima“ che gridava “osanna”, è il salmo 118, è il salmo della terra promessa.
Se si serve si entra nella Terra di Dio e l’uomo diventa libero.

Lectio divina di lunedì 27 marzo

Dal vangelo secondo Giovanni (11, 1-45)

1 Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».
4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro.6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».
11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.
32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto.36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».
38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra.39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni».40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare».
45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Questo racconto che conosciamo solo da Giovanni è un’evento storico, che però l’evangelista ha elaborato teologicamente in un racconto drammatico proprio per mostrare che Gesù è la resurrezione e la vita e che la fede in lui ci dà ora la vita eterna.
Ci fermiamo sulla prima parte che è tutto un dialogo tra Gesù e i discepoli sul significato della morte. Tutto il brano è un movimento.
Gesù e i discepoli vanno a Betania – Marta esce da Betania – Maria esce di casa – I Giudei escono da Gerusalemme – alla fine Lazzaro esce dal sepolcro. È tutto un movimento, perché la vita è un movimento.
1-3 È una comunità familiare, fratello e sorelle, comunità di uguali, allusione alla comunità ecclesiale, che si confronta con il mistero della morte. La comunità di Giovanni che dopo la resurrezione di Gesù si chiede: “come mai il Signore è risorto e ci sono ancora malattie e morte? Come mai si muore ancora? Nella vita ci arrangiamo tutti abbastanza soli, ma nel momento della nascita e della morte nessuno s’arrangia da solo: nel nascere c’è la madre, nel morire c’è Dio.
Abbiamo già visto che questo brano rappresenta la comunità cristiana che vive la vita nuova nel banchetto, nella festa del ritorno in vita. E come la vive? Con l’amore di Maria e con il servizio di Marta, è la nuova comunità che è passata dalla morte alla vita.
3 “Colui che ami” c’è chi ritiene da questa espressione, che Lazzaro, sia il discepolo che Gesù amava, cioè l’autore del quarto vangelo. Comunque, l’autore del quarto vangelo è molto astuto, si nasconde dietro tutte le figure del vangelo, perché è l’esperienza che ha fatto lui in ogni personaggio; alla fine ci farà fare la sua ultima che è quella di aver visto e contemplato il fiume d’acqua viva che sgorga.
Se nessuno nasce senza madre, nessuno muore senza Padre. Quanto viene rivelato a Marta e Maria è il vero miracolo, mentre quello che capita a Lazzaro è un segno provvisorio perché poi Lazzaro muore ancora. L’esperienza di queste due donne, Marta e Maria; è il centro del vangelo, il centro della fede cristiana: l’incontro con Gesù risurrezione e vita.
Il brano si articola in tre parti: prima l’incontro con Marta, poi l’incontro con Maria e alla fine Gesù andrà al sepolcro.
20 Marta ascolta che Gesù viene e gli va incontro, va all’incontro con lui. La nostra vita infatti è un’uscita fino a quello ultimo, il grande e definitivo incontro con lui.Qui si dice che ascoltò e gli va incontro: ecco il principio della nostra fede, è questo ascoltare il Signore, che viene e poi uscire incontro.
In questi versetti (21-27) c’è il passaggio di Marta dall’attesa di un miracolo (resurrezione del fratello) alla sua resurrezione che consisterà per Marta nel fatto di credere che Gesù è il Cristo. Tutto il vangelo di Giovanni è scritto perché crediamo che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e in lui abbiamo la vita eterna. Marta realizza quello che è l’obiettivo del vangelo e ne vediamo il cammino, che è quello che facciamo tutti noi: prima abbiamo ascoltato che lui viene, e poi gli andiamo incontro.
21 “ Signore se tu fossi stato qui” A che cosa serve un Dio che non serve? Che nel momento del bisogno non c’è? È la domanda che sempre facciamo a Dio: “Perché non intervieni? Perché sei assente nella malattia e nella morte?
Gesù passa ad un livello successivo “Io sono la risurrezione e la vita”. Marta è andata incontro a Gesù e Gesù le dice “Io sono” Che cosa? La resurrezione e la vita, chi vive in me e crede me non muore, è appunto come me, la sua morte non è morte, ma un tornare al Padre e donare la vita. Per questo, ogni credente vivrà oltre la morte, ma già ora vive la vita eterna.
Siamo un po’ abituati a leggere questo racconto come il prodigio della risurrezione di Lazzaro, invece no, è il prodigio della risurrezione di quel morto che è dentro di noi.

Lectio divina di lunedì 20 marzo

Dal vangelo secondo Giovanni (9, 1-41)

1 Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio.4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: «Va’ a Sìloe e làvati!». Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».
18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco;21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». 24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore».25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. 39Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: «Noi vediamo», il vostro peccato rimane».

Il brano ci parla dell’esperienza di uno che inizia a vedere, e prima non ci vedeva.
Analizziamo il brano: c’è nel sottofondo la guarigione di un uomo cieco guarito da Gesù e già la comunità di S. Giovanni ha rivissuto quel fatto in chiave battesimale.
Ci viene descritto “il segno” e poi il dibattito tra il guarito e i farisei. Il guarito che ora ci vede materialmente, un po’ alla volta giunge a vedere anche spiritualmente, proprio attraverso le contraddizioni che subisce. Questo “non vedente” in senso reale, è preso come metafora della nostra cecità spirituale. Come il non vedente, non vede dov’è, non vede dove va, così l’uomo non sa dov’è, non sa dove va, non sa chi è. Per questo è smarrito e perso, non sa in che direzione muoversi.
Il vedere è venire alla luce, è nascere. Vedere vuol dire vedere l’altro. La fede nel Vangelo è presentata come un “vedere”. La fede è luce, ti fa vedere la realtà com’è: tu sei figlio, Dio è Padre.
E questo, cambia radicalmente la vita, ci fa vivere da uomini. Se ignoro che Dio è Padre, io sono figlio, gli altri fratelli, altrimenti l’altro è semplicemente rivale, il concorrente da eliminare. Quindi, questo miracolo che avviene a un non vedente è segno del grande miracolo che deve avvenire in ciascuno di noi, quello di rinascere a vita nuova.
Innanzitutto l’iniziativa è di Gesù che vede; l’uomo non vede Dio, è Dio che vede l’uomo e gli dà occhi nuovi perché veda con il suo sguardo. Ogni uomo, ciascuno di noi è cieco fin dalla nascita. Il cieco è colui che non sa dov’è e non sa dove deve andare. È una metafora dell’uomo che non sa di venire da Dio e di tornare a Dio. Per cui è smarrito. La sua vita non ha senso, il male non lo fa per cattiveria, è perché sbaglia direzione nella sua vita. Abbiamo già notato che l’uomo è per natura cieco; fino a che c’è buio, noi tutti siamo ciechi. Ed è con l’arrivo dell’uomo nuovo, di Gesù, che ci illumina, e in noi cambia radicalmente tutto. Allora, chi accetta questa luce diventa “vedente”; chi non l’accetta resta nella tenebra. Quindi la venuta della luce provoca in noi un giudizio di vita o di morte. L’accettazione della luce ci fa passare dalla morte alla vita; il rifiuto della luce ci mantiene schiavi della morte. (v.12) “Dov’è costui?” Rispose: “Non lo so”
I farisei gli chiedono (v.17): “Tu che cosa dici di lui dal momento che ti ha aperto gli occhi” “È un profeta”.
I genitori del cieco non si compromettono, temono di essere cacciati dalla sinagoga. Purtroppo, c’è ambiguità, in questi, declinano l’evidenza per paura.
Colui che è stato cieco, usa l’arma dell’ironia (v.27): “volete forse diventare anche voi suoi discepoli?”
La solita prepotenza dei forti (v.34): “ Lo insultarono e lo cacciarono fuori”
Ecco la professione di fede del cieco guarito, alla domanda di Gesù (v.35): “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” “E chi è Signore, perché io creda in lui?” Gli disse Gesù: “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Alla samaritana, 4, 26 le dice Gesù: “Sono io che parlo con te”. È sempre la Parola di Gesù che si manifesta ed illumina il cammino di chi è accanto al Signore. Ed egli, il cieco guarito, disse (v. 38): “Credo Signore”. Il racconto della guarigione del cieco, è un simbolo della illuminazione battesimale e della nuova nascita da esso operata. La conclusione del brano (v. 34) mostra un atteggiamento che viene registrato da Giovanni e che riflette probabilmente la sorte dei giudeo-cristiani insultati ed espulsi dalla sinagoga.

Lectio divina di lunedì 13 marzo

Dal vangelo secondo Giovanni (4, 5-42)

5Giunse così a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: «Dammi da bere!», tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15«Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: «Io non ho marito». 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.
31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: «Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura»? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Il brano ci presenta una scena delicata e misteriosa: è tutto un equivoco nel quale il Signore comincia dicendo: “dammi da bere.” Esprime la sua sete, il suo desiderio, perché anche noi esprimiamo la nostra sete, il nostro vero desiderio. “Dammi di quest’acqua” (v. 15).
“C’era un pozzo di Giacobbe” (v. 6). Attorno ai pozzi si costruivano le abitazioni, passavano le strade , vicino ai pozzi avvenivano incontri e scontri. È il luogo del desiderio e della contestazione; avere un pozzo, avere l’acqua vuol dire avere la vita. Ci sono tante acque e tante seti nell’uomo. Quest’acqua, questa sete che anche Gesù esprime, è il desiderio. L’uomo desidera innanzitutto l’acqua: l’acqua è il desiderio più materiale e fondamentale dell’uomo per vivere. Quindi, il primo significato della sete e dell’acqua è questo primo livello, poi oltre che la sete dell’acqua, c’è la sete di relazioni, c’è la sete di amore. L’acqua che questa donna cerca, è certamente l’amore, la felicità: “Non ho marito”. Questa donna ha cercato tanto: ha avuto sei mariti e ha ancora sete, non ha trovato quello che cercava, cerca qualche cosa d’altro. L’acqua quindi è simbolo di qualcosa di divino, di Dio stesso che è principio di vita e di amore.
“I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.” (v. 8). Quindi la scena si svolge proprio in solitudine. L’incontro con Dio è un incontro da solo a solo.
“Se tu conoscessi il dono di Dio” (v. 10). È l’amore assoluto di Dio che il Padre ha per il Figlio e il Figlio per il Padre. È questo grande dono che vorrebbe farci il Signore, Gesù è venuto a portare l’amore del Padre. Tutto il dialogo di Gesù con la donna è per far conoscere il dono di Dio: se non lo conosci, non lo puoi desiderare.
“chi beve quest’acqua avrà di nuovo sete” (v. 13). Gesù si riferisce all’acqua del pozzo, “chi beve l’acqua che io darò..” (v. 14) e qui Gesù, si riferisce a qualcosa di più profondo e di più spirituale.
La sete dell’uomo rappresenta l’aspetto più profondo che è nell’uomo stesso. La sete è il desiderio che è dentro l’uomo.
Se l’uomo avesse tutto il mondo, desidererebbe ancora di più. Veramente l’uomo è un pozzo profondo che contiene l’infinito, è proprio del desiderio, il “di più”.
Oggi ci troviamo in una società dove ci sono più cose che desideri, dove vieti anche il desiderio perché le cose vengono date subito. L’animale non ha desideri, ha istinti. Se l’uomo avesse tutto, gli resta ancora un desiderio più grande. Cosa ha desiderato il primo uomo? Il desiderio dell’uomo fin da principio è quello di diventare “come Dio”. Oggi, Dio sarà sostituito dai divi, dalle star, ma è ancora quello: vuole essere di più, è aperto all’infinito. Gesù ci dona di essere come Dio, infatti è venuto proprio a liberare quei desideri profondi che tutti abbiamo e che sono rimasti assopiti per le paure e i fallimenti; è venuto a liberarci, perché vuole che realizziamo quei desideri. Noi siamo fatti per essere come Dio.
Il problema è che non conosciamo il dono di Dio.
“Sono io che parlo con te” (v.26). È la definizione più bella di Dio. Chi è Dio? È uno che parla a te, come parla a questa donna.
Dio è Parola, è comunione, è dono di sé, è dialogo. E come ha parlato alla donna, così parla a noi che ascoltiamo la stessa Parola. Dio lo conosco, in questo “bocca a bocca” con lui, non conosco Dio facendo trattati o discorsi su di lui, ma parlando con lui. È quello che in breve vorremmo fare questa sera: ascoltare la sua Parola, perché questa entri nel nostro cuore e si trasformi in novità di vita.

Lectio divina di lunedì 6 marzo

Dal vangelo secondo Matteo (17, 1-9)

1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Il racconto della Trasfigurazione sarebbe da leggere insieme al capitolo precedente (16, 13-28): è infatti l’altra faccia del mistero di Cristo, la croce e la gloria. Leggendo le due pagine insieme ci si accorge come siano chiamati a raccolta, intorno al mistero di Gesù che si va precisando, tutti i personaggi in ordine crescente: la folla (16,13), i discepoli (16,16), Gesù (16,21) la voce dal cielo (17,5). E ciascuno esprime la sua opinione: un profeta, il Figlio del Dio vivente, il Figlio dell’uomo che deve soffrire molto, il Figlio, l’amato. Nella Trasfigurazione c’è una progressiva rivelazione del mistero di Cristo. In questo itinerario verso la croce, i discepoli, per pochi istanti, pregustano e anticipano il mistero della pasqua dentro la trasfigurazione.
Noi, come ci posizioniamo di fronte al mistero della trasfigurazione?
Dobbiamo innanzitutto avere presente che tutta la nostra vita è tesa nel desiderio di vedere Dio.
La trasfigurazione è un avvenimento bello della vita di Gesù, avvenimento trasformante, è anticipo del futuro perché si sa dove si va e che cosa ci aspetta.
Contesto: Gesù è riconosciuto da Pietro come Figlio di Dio e giudice della storia, e il Padre lo chiama Figlio , l’amato. Usa le stesse parole usate nel Battesimo al Giordano. Le parole del Padre sono conferma di quanto avverrà del Figlio, la sua passione e morte.
La trasfigurazione è una grande festa in Oriente come la Pasqua e il Natale. È la festa dei monaci, rappresentati dalla civetta che vede anche di notte, così il cristiano che vede Dio nel buio della storia.
Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi che partecipano alla passione, dove vedono Gesù come uomo, qui, sul monte vedono Gesù come Dio. Li condusse su un alto monte, richiama il Sinai, dove Mosè vide Dio di schiena, questi invece il volto luminoso di Gesù. Si descrive la trasfigurazione come metamorfosi da uomo a Dio, anche noi siamo chiamati ad avere la stessa forma di Gesù, la stessa gloria. La nostra vita deve tanto “guardare” Dio da essere luminosi come Dio. Diventiamo ciò che abbiamo davanti. Noi dobbiamo metterci di fronte la gloria di Dio. Il sole e la luce sono simbolo di Dio, “di Te, porta significazione”(Cantico delle creature), sono vita, calore, la luce è tutto. Gli apostoli hanno gustato la gloria di Dio come anticipo, la pienezza l’hanno avuta anche loro nell’eternità.
Dio ha fatto il mondo non per la morte ma per la trasfigurazione, ogni età è bella e noi chiamati a trasfigurarci come il Figlio, Gesù. La gloria in mezzo a Mosè e ad Elia. Mosè ha dato la legge, Elia è il profeta che ne trasmette il messaggio. Pietro non sa dire altro che. “È bello” ma ha detto tutto. Quel volto trasfigurato che vede Pietro è il nostro volto, essere lì dove si trova Pietro è anche per noi il fine del nostro cammino. “È bello” perché c’è Gesù, si vede la bellezza originaria per la quale siamo indirizzati.
La trasfigurazione è anticipo del nostro destino, Dio si è dato per noi , è il dono che fa di sé all’uomo
“nube luminosa” Nella storia biblica ci sono state tre presenze di Dio: Mosè che dà la Legge, Elia con la profezia, ed infine, la terza presenza è Gesù con la sua carne.
Tre capanne (tende) la tenda richiama la presenza di Dio nel deserto e poi nel tempio di Sion.
“Nube luminosa” la nube è simbolo di Dio perché luce, è segno di fecondità e di vita. La nube è la presenza di Dio: Dio è nube perché non ha volto, perché troppo luminoso, l’unico volto di Dio è l’uomo, e Gesù uomo è il volto del Padre. Il Padre è voce, il Figlio è volto.
“Questi è il Figlio mio l’amato” c’è un richiamo al sacrificio di Abramo.
“Ascoltatelo” più che un verbo all’imperativo, è un esortativo: se lo ascoltate diventate come Lui.
La trasfigurazione è ascoltare Gesù. Quando inizio ad ascoltare Lui, e non io, allora veramente faccio un cammino progressivo di trasformazione. La nostra vita si trasforma se ascoltiamo Lui: è il senso della nostra vita: un cammino costante verso Gesù.

Lectio divina di lunedì 27 febbraio

Dal vangelo secondo Matteo (4, 1-11)

1 Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».
8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:
Il Signore, Dio tuo, adorerai:
a lui solo renderai culto».
11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Lo Spirito che Gesù ha ricevuto nel Battesimo, lo conduce nel deserto per metterlo alla prova, non lo separa dalla storia e dalle sue ambiguità: al contrario, colloca Gesù all’interno della storia e all’interno della lotta che in essa si svolge.
Il deserto diventa luogo reale della tentazione, non immaginario come il punto più alto del tempio o il monte.
Il soggiorno nel deserto è luogo nel quale Gesù è tentato, e caratterizzato dal digiuno, per quaranta giorni e quaranta notti, questa preparazione di Gesù appare simile a quella di Mosè prima della proclamazione della Legge di Dio. ( Es. 34,28)
In Matteo il senso del digiuno è associato alla veglia e alla preghiera, così è alla passione: Gesù invita i suoi discepoli a pregare e a digiunare.
Il ruolo del diavolo come tentatore è argomento presente nella tradizione biblica, con l’intento di tenere lontano da Dio il male. La Bibbia ha sempre difeso la sovranità di Dio, ma non va trascurato il ruolo della minaccia che ha lo scopo di allontanare da Dio come nel brano della tentazione. È per questo che nei racconti biblici è tentato il giusto e non il peccatore.
1a tentazione: il pane. – È legata alla necessità sorta in seguito al digiuno prolungato: la fame, intesa come bisogno materiale di cibo. Gesù viene tentato come uomo schierandolo contro Dio. Il rifiuto di Gesù e il rimando alla Parola di Dio “non di solo pane vivrà l’uomo…” è l’ unico nutrimento per la vita in unione con Dio.
In questo gesto, vediamo la conferma da parte di Cristo del suo legame intimo con Dio, legame di obbedienza al Padre .
2a tentazione: al tempio. – È il diavolo a condurre Gesù sul punto più alto del tempio di Gerusalemme. L’indicazione del luogo è puramente immaginaria per un fine teologico e non topografico e si contrappone allo Spirito che guida nel deserto. Il diavolo manipola la Scrittura, per insinuare una falsa richiesta di protezione divina: “ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo” e come contrapposizione, ecco la risposta di Gesù: “non metterai alla prova il Signore Dio tuo” e la risposta di Gesù richiama il libro dell’Esodo: “non tenterai il Signore Dio tuo”. La tentazione degli uomini di mettere alla prova Dio, equivale a mettere in dubbio la sua stessa esistenza.
3a tentazione: su un monte alto. – Gesù è condotto su un monte alto, luogo puramente immaginario dove Gesù è invitato a possedere tutti i regni della terra. Il prezzo che Gesù deve pagare è adorare il diavolo: adorazione del male.
Siamo all’apice del racconto dove viene chiaramente enunciato il contenuto della tentazione diabolica: allontanarsi da Dio.
Invece, Gesù impone a Satana di allontanarsi e si schiera in modo inequivocabile per Dio.
Le tre citazioni del Deuteronomio (8.3/6.16/6.13) che scandiscono il racconto evocano le tentazioni di Israele nel deserto. Tentazione di concepire la speranza in termini di benessere e di far coincidere la salvezza messianica con un progetto terrestre: ad esempio confondere la speranza messianica con lo splendore del regno di Davide. È una tentazione sempre in agguato.
Poi la tentazione di un messianismo miracolistico, spettacolare. Israele ha spesso preteso interventi di Dio, chiari e risolutori. Infine, la tentazione più sottile e più ricorrente: quella del messianismo politico nella linea del dominio anziché del servizio.
Non è in discussione il messianismo, ma la via messianica, il tipo di messianismo.
Matteo è interrogato a questo confronto: Gesù ed Israele. Egli vuole mostrare che Gesù si manifesta come colui al quale è ordinata l’intera storia di Israele. Egli ne è il compimento, ne subì le medesime tentazioni, ma a differenza di Israele le superò.
Gesù è il vero Israele.

Lectio divina di lunedì 20 febbraio

Dal vangelo secondo Matteo (6, 24-34)

24Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.
25Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?».32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta.34Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.

Il nostro appartenere al Signore non dipende dalle cose ma dalla consapevolezza del nostro essere figli di Dio e fratelli, se invece appartengo alle cose e le inseguo, costruisco morte.
Siamo figli di Dio perché accumuliamo o perché ci sentiamo amati?
Che ne faccio della vita? Giosuè diceva ad Israele mentre questo stava per entrare nella Terra promessa: chi volete servire, Dio o gli idoli? Non potete servire in contemporanea Dio e ciò che ci allontana da Lui (v. 25).
Non preoccupatevi, verbo che ricorre sei volte, è il numero dell’uomo, il sette è invece il numero di Dio, indica la perfezione.
Il nostro brano è illuminato da questo verbo “non preoccupatevi”, giusto è occuparsi, il “pre” è essere agitati dal prima, quando non c’ è ancora la cosa.
Nel rapporto coi beni fondamentali come mangiare, bere, vestire dobbiamo vivere come figli di Dio, cioè la vita dipende non da noi ma da Dio. La vita non dipende dai beni.
Gran parte della nostra vita non è un occuparci, un impegnarci, ma preoccuparci ed è questa situazione che crea disagio, sofferenza e tensione. L’affanno divide, è ansia per paura che ci manchi qualcosa, ed allora accumuliamo, spesso ci si illude quasi che la vita si allunghi se possediamo tempo e sostanze, invece la vita marcisce non sappiamo che farcene, è come la manna nel deserto: ti serve solo quella per un giorno, se ne prendi di più marcisce, perde senso.
La vita umana è diversa da quella dell’animale, se Dio provvede alla piccole creature come gli uccelli del cielo, molto di più provvederà a noi.
“Non valete forse più di loro” (v. 26) Chi si preoccupa, si considera meno di un animale. Se il Padre dà da mangiare agli animali non lo darà a voi? A voi lo darà tramite il lavoro, mentre l’affanno non darà la vita, la condivisione, ma chi si trova in questa situazione si autostima poco perché non si sente figlio di Dio e fratello, si dimentica la fraternità perché non si sente la paternità di Dio. L’affanno non vale per la vita, ciò che dovrebbe servire per la vita in realtà te la toglie (v.27)
Ancora si parla del vestito (v.28) questo ha una lunga storia nella bibbia, da Adamo che riceve da Dio un vestito di pelle per coprirsi, fino alla tunica di Cristo sul Calvario che viene sorteggiata. Preoccupazione per il vestito: se il vestito richiama la propria identità, qui c’è una sopravalutazione della propria immagine, c’è vanagloria.
“poca fede” possiamo dire che è una definizione del discepolo, uomo di poca fede, ognuno di noi è chiamato a crescere, a fare un cammino verso il Signore. La fede è dono e questa la possiamo chiedere appunto perché è dono di Dio. Se sappiamo di avere poca fede la possiamo avere. Mentre invece l’affanno è sinonimo di poca fede, perché si vuole fare da soli prescindendo da Dio. Lasciamo fare a Dio che è Padre, e noi siamo figli, oggetto dell’amore del Padre.
La preoccupazione è tipica del pagano, noi siamo consapevoli che Dio è Padre, questa è la fede e ciò mi toglie l’affanno. Dio che è Padre sa di che abbiamo bisogno.
Il Regno di Dio è l’amore del Padre che si realizza nei suoi doni. Facciamo della nostra vita una autentica Eucarestia, ringraziamo Dio per quello che facciamo.
Se viviamo nell’affanno per il cibo, la bevanda o il vestito non viviamo da figli e da fratelli.
Ogni affanno (v.34) è sempre per il dopo, “non preoccupatevi” per il domani, occupati invece di quello che stai facendo ora, non puoi respirare oggi per domani.
La preoccupazione per il domani è diabolica perché è una lacerazione, è uno sdoppiamento di sé. Vivi oggi, la concretezza del tuo quotidiano, perché nel tuo oggi trovi Dio e scopri che sei figlio e fratello.
Puoi creare un mondo nuovo in misura di quanto vivi la concretezza del tuo oggi se questa la vivi alla luce di Dio.