Lectio divina di lunedì 13 febbraio

Dal vangelo secondo Matteo (5, 38-487)

38Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. 39Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra, 40e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. 41E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. 42Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle.
43Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. 44Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, 45affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. 46Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? 47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? 48Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.

Ancora una volta Gesù si pone nell’ottica della giustizia “superiore” che è la giustizia di Dio, e che deve essere praticata anche da coloro che sono diventati figli del Padre celeste. L’ottica è sempre quella dell’amore che vince l’egoismo e tutte le sue manifestazioni.
“Non opporvi al malvagio” (v. 39), si può interpretare sia come il Maligno, sia come il male in generale. Probabilmente nel nostro contesto indica colui che si comporta male. La forza del discepolo sta nel non rispondere al male con altro male, ma come direbbe S.Paolo (Rom.12): “vincere il male con il bene.”
La regola fondamentale per vincere il male è non restituirlo, tenendo testa all’avversario con la propria dolcezza, unica possibile per toccare il cuore indurito dall’odio.
Anche nelle altre situazioni (mantello-tunica, costrizione a percorrere una distanza, il dare e il prestare) si ripete il fondamentale invito a rispondere alla brutalità e alla prepotenza con grandezza d’animo e pazienza, al discepolo viene ingiunto: rinuncia ad ogni sanzione giuridica! Non rispondere alla violenza con altra violenza!
E tuttavia, non c’è l’invito a persistere quando viene ricevuto un torto, in una inerte passività.
Il discepolo deve andare incontro al suo avversario, rispondere alla sua costrizione o alla sua brutalità con sovrabbondante bontà: in questo modo, forse lo potrà conquistare.
L’ultima antitesi estende il significato di “prossimo”. Nell’ Antico Testamento, dove troviamo il comando circa l’amore del prossimo, il termine indicava i membri dello stesso popolo eletto, (Lev.19,18) e più specificamente i propri familiari, non troviamo invece nell’A.T un comando come “odierai il tuo nemico”. Possiamo ritenere che si tratti di una sottolineatura di quella che poteva essere una errata interpretazione della legge sull’amore verso il prossimo: se ami il prossimo sei libero di odiare il nemico. Ma l’amore che insegna Gesù Cristo è quello che va oltre ogni limitazione umana.
Un’amore che non distingue “cattivi” e “buoni”, “giusti” e “ingiusti”.
In questo amore per tutti, che arriva anche a spezzare il ciclo dell’odio e della violenza abbiamo l’assoluta novità del Vangelo e il superamento dell’antica Legge.
In questo comando dell’amore si trova il primo principio critico che deve qualificare l’obbedienza alla Legge da parte del cristiano.
Il comandamento dell’amore non è un comando tra molti altri, e nemmeno il comando principale, ma è il principio interpretativo che dà la misura a partire dalla quale vanno vissuti e giudicati tutti i comandi della Legge antica.
Il tutto si conclude con l’invito alla perfezione.
La perfezione di cui si parla è la perfezione dell’amore.
In questo il discepolo di Gesù Cristo, rinnovato dalla sua dignità di figlio, si fa imitatore di Dio.
Sostenuto dall’amore del Padre, il discepolo è in grado di vivere un amore simile.
L’amore di Dio è, non solo modello supremo dell’amore di noi cristiani, ma ne è anche l’origine.

Mentre meditiamo il testo chiediamoci:

Ho qualche difficoltà con qualcuno, prego per lui, secondo l’insegnamento di Gesù Cristo?

O mi chiudo nel rancore, nella difficoltà, nel desiderio di vendetta?

Vedo nel prossimo un fratello da amare o sono portato a vedere un’ estraneo da cui guardarmi?

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Lectio di lunedì 30 gennaio

Dal vangelo secondo Matteo (5, 13-16)

13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, 15né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. 16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.
v.13, il testo dice: “Voi”, ma chi è il sale della terra?
Chi è la luce, la luce del mondo?
È Gesù Cristo, perché Lui sa di Dio, ha il sapore di Dio.
Il sapore di Dio che Cristo ci porta, è in contrasto con il sapore del mondo.
Se si sviluppa l’immagine, allora il sapore diventa il profumo. Il discepolo, allora, per la partecipazione a Cristo Gesù ha questo sapore. Per cui, deve cercare di non essere, come si dice, sciocco, privo di sapore, insipido. Avere il sapore di Cristo costituisce l’identità del discepolo e della comunità. Avere sale vuol dire avere la conoscenza, l’esperienza di Dio. Questo costituisce l’identità, lo specifico della comunità dei credenti e del discepolo. Però questo “sapore” diventa anche un compito nei confronti degli altri, per cui se il sale perde il sapore, c’ è una perdita di identità, ed allora il credente diventa tagliato fuori da Dio, diventa un essere insignificante, scartato, disprezzabile per gli uomini.
Se vogliamo fare riferimento a San Paolo, questo rischio c’è quando si svuota la stoltezza della croce per una mentalità che vuole essere astuta, moderna ma che diventa una pura pretesa.
Passiamo alla seconda immagine: la luce.
La luce è Gesù.
Anche nella professione di fede diciamo del Figlio che è “luce da luce”. Illumina di luce propria e questa luce che è Gesù brilla sul lucerniere che è la croce.
Gesù è chiamato da Giovanni 8,12 “luce del mondo”, e nel salmo 36 si dice : “nella sua luce vediamo la luce”.
Se Gesù, la luce, noi battezzati in Lui, veniamo illuminati. Ed è per questo che vediamo meglio la nostra identità e riflettiamo tale luce sugli altri.
Non è che il credente, sia esso comunità o singolo sia luce per sé, ma riverbera, e comunica la luce che è Lui.
C’è una bella preghiera del cardinale Newman che dice:
proprio Cristo è la luce che accompagna l’uomo.
Ecco il testo:
“Guidami tu, luce gentile;
guidami nel buio
che mi stringeva notte oscura,
la casa lontana;
guidami tu luce gentile;
guida i miei passi luce gentile;
non chiedo di vedere lontano,
mi basta un passo e solo il primo;
guida i miei passi luce gentile.,’>
“Così risplenda la vostra luce.” (v.16)
Come Cristo ha illuminato dalla croce, sul lucerniere della croce, seguendo l’impostazione dell’evangelista Matteo, non si può escludere una certa allusione alle comunità di Matteo, comunità perseguitate, provate, emarginate, in qualche modo “crocifisse”. Così risplenda la vostra luce, le vostre singole luci.
La luce che è di Dio, che si è sparsa, si riverbererà da voi, risplenda davanti agli uomini e diventa questa luce non una dimostrazione intellettuale della fede, per convincere, ma diventa una fede “mostrata” con uno stile di vita, quindi non “dimostrata” ma “mostrata” così semplicemente.
La tua relazione che intessi con Dio e con gli altri, permette di far comprendere a chi è fuori, a chi è lontano dal Vangelo, che la cosa è bella è anche buona vivere così. In fondo è permettere con la nostra vita buona, che l’azione di Dio entri nel il cuore degli altri. Oggi, talvolta è problematico anche se necessario, annunciare il Vangelo, tutti però siamo invitati a far sentire con la nostra vita la nostalgia di Dio.